Convocazione del Consiglio pastorale, allargata alla comunità,
sulle domande del questionario che prepara il sinodo dei vescovi
Seconda parte 13 febbraio 2014
E’ cresciuto il numero delle convivenze, che cosa dice questo alla comunità cristiana?
La convivenza sembra essere la scelta più comoda che permette di modificare, senza complicazioni legali ed economiche, la scelta fatta, a volte il matrimonio non si fa perché troppo dispendioso (spese del ricevimento) anche se il valore del matrimonio specialmente quello religioso dovrebbe essere superiore al problema economico.
Quali sono le motivazioni che inducono alla convivenza?
Una delle motivazioni è: “ad esperimentum”, un “prova al matrimonio”. Per il timore di fare una scelta sbagliata, molti matrimoni sono preceduti da una convivenza.
La Chiesa dovrebbe aiutare e accompagnare le coppie che convivono ” ad esperimentum ” al matrimonio come assunzione di una responsabilità maggiore.
Nel matrimonio religioso nei tempi passati prevaleva una forte componente di consuetudine. All’interno della convivenza c’è molta umanità e accoglienza che deve essere coltivata e rispettata, le convivenze devono essere viste anche come esperienze di incontro e conoscenza reciproca.
I giovani sentono il matrimonio o come totalmente irrilevante nella loro vita o come l’approvazione a qualcosa che è buona, perfetta, santa, come un sigillo su una situazione serena e tranquilla.
Tra i vari motivi che portano alla convivenza si può vedere l’età più elevata in cui si accede al matrimonio, maggiore accettazione sociale alla convivenza, clima di insicurezza nella definitività del matrimonio anche in considerazione delle separazioni di coppie ben collaudate, la convivenza è vissuta anche come prova della solidità del proprio rapporto di coppia. Una proposta può essere quella di una verifica della consistenza delle coppie che si preparano al matrimonio, un maggior sostegno delle coppie nel riconoscere le situazioni di sofferenza e di difficoltà. La sequela sostiene ma non sostituisce questo cammino della coppia. L’incapacità di affrontare i problemi rimane tale anche con la grazia del sacramento.
Su 11 coppie che si preparano al matrimonio 9 sono già conviventi, ormai non fa più problema questo fatto e lo si registra come dato.
Il matrimonio per la Chiesa è un impegno grandissimo, il matrimonio indissolubile non permette appello. Siccome è un impegno definitivo molti non ce la fanno ad impegnarsi per tutta la vita e scelgono di convivere, e si allontanano dalla chiesa che rifiuta di riconoscere ogni altro tipo di convivenza che quello del matrimonio.
La convivenza per il nostro Paese è pressoché accettata. La Chiesa è molto più intransigente con gli sposi rispetto ai religiosi. L’intransigenza rispetto agli errori possibili porta a preferire la convivenza. Inoltre dall’altra parte c’è la mancanza completa dell’accompagnamento.
Come un genitore che pretende molto da un figlio e non gli dà gli strumenti.
L’indissolubilità è solo per chi crede, non legata al matrimonio civile, è un’altra cosa la nascita di un figlio è un segno incancellabile, l’amore degli sposi cristiani è segno dell’amore di Cristo per la Chiesa.
C’è un accompagnamento prima del matrimonio e niente dopo, nelle varie fasi di cambiamento delle persone e della coppia quando nascono i figli in cui si diventa un’altra persona e della coppia. In questi passaggi non c’è il sostegno di accompagnamento e di aiuto anche nel confronto di esperienza tra coppie diverse.
Questo momento delle convivenze si accompagna anche ad una presa in considerazione più seria del sacramento del matrimonio. Forse il sacramento potrebbe essere preso in considerazione in maniera più profonda, quando di fronte alle convivenze emerge l’irrilevanza del sacramento o il sacramento non riesce a mostrare quello che significa nel suo profondo, mi pongo il problema quanto noi siamo riusciti a comunicare quanto il sacramento ha o può avere. Quanto i sacramenti sono in grado di comunicare l’orizzonte della speranza che custodiscono.
L’orizzonte della speranza che due persone per tutta la vita possano tenersi per mano è ben diverso da perfezione, attenzione a non sbagliare, possibilità di tornare indietro. Questo annunziare la speranza è lo specifico della chiesa. Nel momento in cui si annuncia il sacramento e si dimentica la complessità delle trame affettive delle persone, i timori, non abbiamo più quelle protezioni sociali che imprigionavano il sacramento. Consideriamo con nostalgia mondi antichi in cui la struttura sacramentale imprigionava le persone, era una struttura di segregazione, toglieva alle persone il diritto di difendersi perché non c’era una via d’uscita e soprattutto a scapito delle figure più deboli, moglie e figli che non venivano tutelati. Siamo stati come chiesa un’agenzia di nefandezze che venivano imbiancate con questo romantico scenario sacramentale che non appartiene al sacramento. Come liberarlo di questo? come riannunciare questo sacramento e aiutare le persone a prendere in considerazione che è un aiuto. La chiesa che custodisce il sacramento deve anche custodire il cammino. Abbiamo tante cose che cadono ad un certo punto. Quando si prende di petto la questione del matrimonio diviene di fatto un’idea di percezione di come essere chiesa.
Lo scollamento che esiste tra la chiesa ed i credenti emerge da un sondaggio pubblicato su Repubblica. Alla domanda se sei d’accordo con la dottrina della chiesa che dice che chi è divorziato vive nel peccato e quindi non può fare al comunione?, non sono d’accordo il 79 % dei cattolici. Questo indica la distanza enorme. C’è un filone di teologi che tende ad ampliare i casi di nullità del matrimonio. La chiesa deve riconoscere che un matrimonio validissimo all’inizio possa nel corso nel tempo fallire, i coniugi possono arrivare anche a detestarsi. Dopo 18 anni di convivenza e dopo aver superato delle difficoltà si è arrivati alla rottura perché non c’era accordo sui figli e dopo tre anni è nata un’altra convivenza altrettanto bella.
Presenza dei divorziati nella chiesa: prima cosa è la misericordia. Da una parte la nullità, poi la misericordia, in mezzo rimane cosa la chiesa pensa di un possibile fallimento matrimoniale. Una persona, fallita un’unione, può desiderare, proiettarsi forse in un’altra; non perché tu hai divorziato uso misericordia, ma perché tu hai fallito.
Il discorso del sacramento pare che non coinvolga i matrimoni di rito luterano, in che cosa è diversa la dottrina luterana nel campo dei matrimoni, e per noi cattolici queste differenze sono significative? Se per i protestanti il matrimonio non è un sacramento, potrebbe la chiesa cattolica interrogarsi dove sia la possibilità più favorevole per quanto riguarda la misericordia nei confronti di chi ha contratto il matrimonio e poi non riesce più a portare avanti questo sacramento.
Chi può dire che una persona vive nel peccato, solo Dio lo sa, ci sono delle situazioni che fanno pensare che il male ci sia, ci sono persone che prendono impegni anche in altro campo e non vengono mantenuti. Ogni crisi ha una storia ed ognuna è diversa dall’altra, ci sono crisi che vengono per superficialità, ci sono crisi che vengono per fragilità, ci sono crisi che vengono per dolore, ci sono crisi che significano fuga da se stessi, uno non si accetta più. Accompagnare i divorziati, tutte le persone che sono in una situazione problematica, annunciare sempre la misericordia di Dio. Sacramento non è solo uno schema canonico da osservare, ma è anche l’invocazione allo Spirito Santo che due persone fanno davanti al Signore. C’è una qualche rottura che avviene non solo col coniuge.
Io e mio marito ci siamo separati quindici anni fa, e da quattro abbiamo divorziato. Ad un certo punto della nostra vita matrimoniale, non riuscivamo più a comunicare il nostro amore, anche se tutti e due credenti, non vivevamo la nostra fede, non avevamo invitato Dio a far parte della nostra famiglia. Il mio rivolgermi a Gesù nei momenti più critici era la pretesa di un intervento esterno, senza coinvolgimenti. Il rapporto con mio marito diventava ogni giorno più faticoso, ognuno arroccato sulle proprie posizioni, eravamo cambiati, non c’era più dialogo, nella nostra vita ogni cosa, anche la più bella come i figli, era una preoccupazione, eravamo lontani l’uno dall’altro e la separazione ci è sembrata la cosa più giusta, più naturale che poteva aiutare a dare serenità ai nostri figli. Non è stato proprio così, anzi per me è stato sempre più difficile parlare ai figli di amore, di sentimenti perché per loro l’amore era la famiglia, la mamma il papà. Ho iniziato a pregare per avere la forza e la capacità di andare avanti e questa volta mi sono affidata completamente. L’accoglienza ricevuta nella comunità parrocchiale mi ha permesso un po’ alla volta di ricostruire me stessa, ho ritrovato una nuova casa, ho iniziato un cammino che mi ha portato a scoprire l’importanza del sacramento, sacramento che era ancora vivo e presente nel mio cuore. Da allora vivo nella fedeltà a questo sacramento. Sento che c’è un legame ancora vivo e che ci unisce ancora, anche se all’apparenza sembra tutto distrutto.
L’accoglienza gratuita, affettuosa, aperta per noi due è stata importante ci ha fatto sentire accettati e parte integrante della comunità, credo che questo dovrebbe essere l’atteggiamento che la chiesa dovrebbe assumere anche in modo più strutturato. Per la partecipazione all’Eucarestia, non entro in merito, anche se mia moglie ne soffre ed anche per me sarebbe una cosa meravigliosa. Ma non mi sento escluso, mi sento accettato e ho fatto mia la frase di San Paolo “ti basti la mia grazia”. Quello che invece mi pesa – e rispetto a ciò non capisco la posizione della chiesa – è l’impossibilità di partecipare al sacramento della riconciliazione, che potrebbe aiutare molto per la vita e le situazioni di ogni giorno. Legare la confessione a fini assolutori, o tutto o niente, mi sembra una posizione di chiusura, si dovrebbe trovare qualcosa di intermedio.
Mi sembra che nella disciplina della chiesa cattolica che riguarda coloro che vivono una seconda unione non si dia conto della gratuità del dono della misericordia di Dio; questa dovrebbe trovare dei segni più espressivi. Il fatto che la situazione del divorziato risposato sia irreversibile, che non ci sia nessuna via se non quella di affidarsi alla misericordia di Dio senza un segno, mi sembra che non dia sufficiente ragione della rivelazione di Gesù. Tutte le altre chiese cristiane, in un modo o in un altro, esprimono la gratuità del dono della misericordia di Dio.
Sembra che sia un cedimento alla mentalità del mondo, poi tutto va male, succede una catastrofe, quindi io mi coltivo una società dalle idee bellissime ma irrealizzate, ma la chiesa è nel mondo? L’idea di una donna debole in posizione di dipendenza venivano da una società che pensava così quindi anche la chiesa ha subito del negativo, poi i tempi si evolvono, forse questo è il tempo, questa è la battaglia del momento, non si chiede di cedere ma di immergersi nel mondo, meglio una chiesa ferita che assente come ha detto papa Francesco.
Non dimentichiamoci che la vita cristiana prospetta un cammino difficile nella storia e quando a fronte di questo cammino scappano i linguaggi come a fronte di questo cammino scappa un cedimento, si sta moralizzando un discorso che dovrebbe essere invece di un altro segno, non si tratta di custodire la perfezione e di negare la storicità con tutto quello che comporta lo stare nel mondo sapendo però che il cammino nella storia dei cristiani è un cammino difficile ed è per questo cammino difficile che Gesù ha promesso che non avrebbe lasciata sola la sua chiesa, quindi, prima di pensare all’impossibilità, pensiamo al fatto che nelle difficoltà ci venga dato un aiuto, e la struttura sacramentale dovrebbe essere dentro questa economia di sostegno, di aiuto. Questa domanda dello Spirito che è speculare all’offerta dello Spirito è permanente nella storia finché questa storia non sarà consumata ma Gesù stesso si domanda più volte nei vangeli e sono anche gli stessi discepoli in alcuni momenti a domandarsi se questo sia possibile. Gesù lo dice troverà fede il figlio dell’uomo quando tornerà? ed i discepoli dicono non è troppo duro tutto questo? Allora noi dobbiamo conservare la questione della radicalità come qualcosa che può essere praticato senza però che si superi, o si contraddica, quello che Gesù dice quando promette che giogo è, ma un giogo che diventa leggero, ma giogo è, la pesantezza c’è, la difficoltà c’è e la si può affrontare non rimuovere e la logica trascendente è proprio quella di pensare in questo mondo la possibilità di affrontare le difficoltà di questo mondo e di rimanere fedeli e Dio c’è per questo. Allora dall’altra parte non c’è il giudicare non c’è il condannare, ma c’è la possibilità di stare in questo mondo fedelmente rispetto a ciò che il vangelo annuncia. Non rimuoviamo la difficoltà, la sequela è un cammino difficile in questo mondo. Guai però a intendere questa difficoltà nell’ordine della censura, della rigidità, dell’occhio che controlla e del giudizio che si esprime.
Unioni omosessuali
Nella mia vita ho vissuto due forme diverse di relazione affettiva ed amore che potrei chiamare tutte e due la mia famiglia. La prima nella fase più giovane è stata una relazione stabile di convivenza con un’ uomo che è durata quindici anni da cui è nata mia figlia che a luglio farà 13 anni: questa relazione si è chiusa dolorosamente otto anni fa ed io sono rientrata a vivere nella mia famiglia d’origine. Poi purtroppo lo scorso anno all’improvviso il papa di mia figlia è morto e mi sono ritrovata unico genitore di questa bambina. Poi tre anni fa è arrivato un dono inaspettato nel senso che mi sono innamorata profondamente, però di una donna e come penso, tutti possono immaginare, questo ha sconvolto la mia esistenza ed anche della mia famiglia alla quale poi nel tempo ho parlato ed ha interrogato soprattutto la mia fede. La mia domanda fondamentale è stata se questo mio amore che vivevo come un amore reciproco e libero da condizionamenti esterni, tra due persone dello stesso sesso, potesse essere parte di un progetto di Dio, di Dio per me e comunque di un cammino che io stavo proseguendo in un’altra forma. In questa fase che era piena di dubbi sono stata fortunata. Io ho bisogno di fare chiarezza soprattutto a livello interiore e spirituale, ho avuto la fortuna di incontrare un sacerdote gesuita che mi ha molto aiutato a discernere e soprattutto a ragionare cercando di liberarmi da sovrastrutture e condizionamenti che non mi aiutavano a mettere a fuoco il problema anche da un punto di vista spirituale. Il più importante aiuto che ho avuto in questo confronto è stato che l’importanza nel cammino di fede non è tanto la posizione della dottrina ufficiale, quanto il bene concreto delle persone. Quindi il termometro in ogni mia scelta doveva essere un aumento della qualità della relazione sia con la persona con cui stavo vivendo questo rapporto sia di comunione in me stessa sia verso gli altri. Ovviamente, per quanto mi riguarda, la parte più difficile è stata gestire questa mia scelta, questa mia condizione con la mia famiglia e con mia figlia e non è stato semplicissimo. Ho parlato con mia figlia dopo diverso tempo, lei aveva già conosciuto questa persona e nel tempo gli ho spiegato chi veramente era e qual’era l’importanza di questa relazione per me, meno difficile è stato con la mia famiglia di origine, dove abbiamo fatto in modo che nel tempo questo non creasse una divisione, dove abbiamo cercato di trovare una comunione anche di fronte a scelte che forse non vengono capite o comunque non pienamente condivise.
Da questa situazione quale domande nascono come persona credente di fronte alla chiesa ?
- Chiarezza e serietà quando si affrontano questi temi.
Troppo spesso si sente parlare una voce di tipo tradizionalista fondamentalista che sostiene tesi che sono superate dal punto di vista dell’origine di questa condizione che spesso viene associata ad una malattia da cui si può guarire (esempio il libro “Ero gay. A Medjugorje ho ritrovato me stesso” – Luca di Tolve). Questa è spesso la posizione che passa e quando a sentire queste cose sono dei ragazzi giovani che non hanno una maturità per affrontare una reazione sociale che spesso non è accogliente, si possono fare dei danni. Questa visione ancora presente in alcuni ambienti va superata.
- La cosiddetta posizione “non chiedere non dire”.
Spesso l’alternativa è di non parlare di se stessi, mantenendo una posizione di clandestinità che non aiuta.
C’è di fatto in tutta la società un ritardo culturale molto grave su questo tema che potrebbe essere colmato e quindi una comunità cristiana dovrebbe trovare il coraggio di riconoscere ogni che forma di discriminazione più o meno grave, tocca i diritti fondamentali della persona e della dignità umana.
Un secondo aspetto è quello di lavorare all’interno della comunità credente per una cultura del rispetto nell’ascolto e nel dialogo, dove poter accogliere nuove forme di relazione. In questo senso è opportuno parlare anche in senso pastorale, non tanto di un nuovo modello cristiano di famiglia quanto quali siano gli aspetti essenziali in un modo cristiano di vivere la famiglia che non necessariamente oggi è determinato dall’orientamento sessuale della coppia.
Due riflessioni :
- Interrogarsi se tutte le persone sono chiamate a vivere in pienezza la propria vita davanti a Dio a prescindere dal proprio orientamento sessuale e quindi che tutte le relazioni di coppa quando sono vissute in piena reciprocità e libertà possono essere il luogo dove questo può accadere. In questo senso vedo una grande differenza tra le esigenze delle coppie omosessuali ed eterosessuali che desiderano non soltanto condividere la propria vita con la persona amata, ma hanno il desiderio di essere accolti come coppia a livello sociale e se sono credenti anche a livello ecclesiale e sentirsi liberi di vivere la propria relazione alla luce del sole.
- La genitorialità.
Nel senso comune essere genitori ed essere omosessuali vengono ritenuti aspetti inconciliabili, eppure genitori omosessuali esistono da sempre anche all’interno di coppie sposate. Il fenomeno nuovo è quello di famiglie omogenitoriali, cioè di donne o di uomini che o hanno preso coscienza della propria condizione omosessuale dopo aver avuto figli, oppure coppie che scelgono di realizzare un progetto di genitorialità. Riguardo a questo anch’io avrei delle preoccupazioni come madre e come persona che sta vivendo in prima persona questa situazione. Anch’io ho delle domande, come crescono i bambini in questi nuovi contesti famigliari? Effettivamente esistono delle differenze o delle problematiche specifiche di sviluppo legate a questo, anche se questo sviluppo equilibrato dipende pure dal contesto che respirano all’esterno.
Ricerche fatte da neuropsichiatri infantili, psicologi e pediatri confermano che non c’è nessuna prova che due genitori omosessuali non siano capaci di allevare un figlio cosi come lo sono i genitori eterosessuali; non è l’orientamento sessuale che fa il buon genitore ma è la capacità affettiva, la capacità di educare, di allevare. Il problema può essere l’ambiente, non tutti gli ambienti sono accoglienti, dipende molto dal contesto. In certi ambienti una famiglia omosessuale è accettata e questo non crea problemi ai figli, purtroppo non è lo stesso se si vive in un ambiente che discrimina, in un ambiente pieno di pregiudizi. Quindi bisogna operare sull’ambiente, che sia più accogliente e che accetti questa, che non è una anormalità, è solo una diversa normalità, ci sono tante normalità e l’omosessualità è una delle tante.
La Chiesa ha grosse responsabilità in negativo su questo argomento, molti politici cattolici negano il riconoscimento soltanto civile delle coppie, la Chiesa potrebbe in questo caso offrire uno spazio di accoglienza almeno non ostacolando il riconoscimento civile di queste coppie, ma da insegnante la mia preoccupazione maggiore è rivolta ai ragazzi, nel momento in cui maturano la consapevolezza della propria sessualità. Vedo, in prima persona, la loro enorme sofferenza nella difficoltà di scoprire se stessi in una maniera che è difforme dal resto in un momento in cui si vorrebbe essere del tutto uguali agli altri, ma soprattutto ritrovarsi esclusi da tutto un mondo che non ti vuole, che non ti accetta. La Chiesa e noi cattolici dovremmo essere in prima fila e dare a questi ragazzi tutto l’appoggio e la serenità di crescere tranquilli, di scoprire se stessi e di realizzarsi pienamente, invece spesso ci troviamo ad essere in prima fila al contrario.
Noi viviamo tutti, ma i giovani in particolare, a livello di “prospettive conseguibili desiderate”. Ad un giovane che si scopre omosessuale la negazione della sua realtà taglia completamente la sua prospettiva. Tutti abbiamo bisogno di una immagine rispettata e lui non la riceve dagli altri, anzi riceve il contrario, il giovane ha bisogno prima di tutto di essere rispettato e poi poter coltivare anche una prospettiva di coppia, togliere questo è togliere qualcosa che lo costituisce, la Chiesa in questo ha delle grosse responsabilità.
Le prospettive della fecondità umana e della genitorialità sono prospettive amplissime. Siamo abituati, anche nella miglior buona fede, a vederle solo in certe direzioni, è difficile accettare un allargamento di questi discorsi. Dobbiamo fare attenzione perché i cambiamenti nei quali già viviamo vanno conosciuti e valutati e non giudicati pregiudizialmente. Il cammino di chi vuole, di chi tenta di diventare ogni giorno un fedele, non è un cammino facile, però è un cammino: non bisogna fermarsi nella conoscenza del mondo, delle sue caratteristiche e dei cambiamenti che sono possibili. “Finalmente la Chiesa ci chiede qualcosa” (da un articolo di Diego della Valle), in che modo e come sia possibile risponderle è tutto da vedere, ma è da molto tempo, forse da sempre, che la Chiesa non chiedeva ai fedeli opinioni ed espressioni libere di pensieri maturati, quindi stiamo vivendo una fase delicatissima, bellissima, e terribile ad un tempo.
Una priorità delle persone è di essere conosciute quali sono, non essere classificate in una categoria, la categoria porta giudizio, il giudizio porta all’esclusione, mentre dietro queste storie c’è una persona che prima di tutto vuole essere conosciuta.
La necessità dell’essere accompagnati non si può limitare ad un solo momento, deve essere molto più lungo, commisurato alle varie tappe della vita. Importante è il sostegno reciproco all’interno di un gruppo, importante è l’accoglienza che si riceve anche come ospitalità in una comunità parrocchiale per parlare di problemi seri, della vita, potersi ritrovare in un ambiente tranquillo , non politicizzato, attento ai valori della persona. In un tale clima di amicizia e accoglienza, anche le situazioni dolorose e difficili come la separazione, possono diventare un’ importante testimonianza del vivere cristianamente, di come ci si può separare non rinnegando la propria fede cristiana, portando avanti cioè il valore del rispetto reciproco, un atteggiamento conciliante, l’attenzione verso i figli. Dalla comunità cristiana si chiede, in questi momenti dolorosi, di essere aiutati a vivere i propri insuccessi o i propri fallimenti in una maniera cristiana e di partecipazione affettiva.
Le persone omosessuali andrebbero accolte come i divorziati, facendo sentire loro la vicinanza, comprensione e affetto. Si può instaurare un rapporto e un dialogo fecondo, tenuto conto che ormai è accertato che non si tratta di una tara, di un vizio o di una cosa contro natura ma semplicemente una condizione in cui si nasce e la cui negazione e criminalizzazione può avere conseguenze molto serie sull’equilibrio personale.
Rifletto sulla presenza di satana su questa terra e mi domando se lui si affaccia nella vita di ognuno di noi cercando di portarci lontano dal cammino che Dio vuole per noi, che in questo caso è all’opposto. Nel caso di un rapporto con una persona dello stesso sesso, o divorziata, mi domando se, come recitiamo nel Padre Nostro “aiutaci a non cadere in tentazione”, sia questo l’elemento per cui la Chiesa in questi anni ha cercato di lasciar fuori determinate cose, proprio perché rappresentavano la tentazione negativa. Oggi anche le coppie dello stesso sesso che desiderano avere figli oggi possono, con l’aiuto della scienza oggi l’uomo tende a poter realizzare tutto, ma Dio ci ha fatto in un certo modo perché potessimo arrivare a questo naturalmente. E’ un po’ troppo l’uomo quando tende a portare la religione dalla sua parte o è la Chiesa troppo arroccata e le persone se ne vanno?
Quando ho saputo che volevano andare nelle scuole e offrire ai ragazzi le diverse possibili sessualità ho dissentito, come va rispettato chi ha un orientamento diverso, non va confuso un giovane in un’età così delicata, non si va a mettere confusione.
Dall’esperienza di ascolto fatta nell’incontro con due gruppi di omosessuali cristiani presenti a Roma, Nuovi orizzonti e La sorgente, sono andato scoprendo una condizione di grande sofferenza, anche vissuta nella chiesa. La condizione di chi, anche vivendo in modo partecipato alla vita della comunità cristiana, nel momento in cui scopre ed elabora la propria omosessualità, ha l’alternativa o di rimanere nascosta o di ritrovarsi fuori. Questa stessa esperienza è stata raccontata da diverse persone vissute in diverse forme di comunità cristiane. L’incontro con loro mi ha fatto riflettere sul fatto che, nei miei più di 20 anni di ministero, ho incontrato pochissime persone omosessuali: forse le persone c’erano ma non erano manifeste, o le persone non c’erano perché la comunità le ha lasciate. La possibilità che la comunità cristiana, anche in una fase di discernimento, possa accogliere e ascoltare, mi sembra fondamentale. In questi due gruppi si diceva che alcune altre esperienze, come ad esempio le persone che hanno cambiato sesso, non trovavano neanche in quei luoghi la libertà di parlare, di fatto si trova con difficoltà uno spazio dove essere riconosciuti e ascoltati, che questo non si realizzi in una comunità cristiana credo sia un segnale che ci debba interrogare, così come mi sembra importante in una comunità cristiana conservare delle opinioni e degli orientamenti diversi su queste questioni, cosa che normalmente non succede. È difficile che una comunità sopporti al proprio interno una pluralità di posizioni su questioni come questa.
Due direttrici molto simili tra le cose emerse prima riguardo ai divorziati e ora agli omosessuali, ci concentriamo sulle categorie e non sulle persone, come se volessimo applicare dei principi generali: dobbiamo perdere l’abitudine di pensare per categorie e pensare per persone. L’attenzione è ad un progetto di vita, al desiderio di avere un figlio, ad aiutarle a mettere a fuoco che cosa significa genitorialità: il figlio non è un diritto, è una persona. Bisogna cercare di sbrogliarci dagli schemi e far crescere una dimensione umana, che ultimamente è andata perduta.
Dalla lettera scritta da don Giorgio per l’Assemblea parrocchiale del 2010, in cui si riassumono le linee guida, i carismi della nostra comunità parrocchiale:
“Abbiamo guardato alla vita e alla storia degli uomini come al campo di Dio nella parabola del Tesoro nascosto”.
Abbiamo guardato alla vita e la storia degli uomini – senza categorie – questa vita e storia degli uomini ha trovato in questa comunità considerazione come il campo di Dio, quel campo della parabola del Tesoro nascosto.