Comunità Parrocchiale San Fulgenzio
Roma, 12 aprile 2020
Ben trovata, ben trovato. La Comunità di San Fulgenzio desidera rivolgere una parola di vicinanza e di tenerezza a tutte le persone con cui è in contatto.
È veramente questo un tempo particolare. In una manciata di giorni questo virus ci ha costretto ad avere uno sguardo su noi, sulle nostre famiglie, sul mondo diverso. La sofferenza, il lutto è entrato nelle nostre case come non era mai successo. E ci siamo scoperti fragili, vulnerabili, bisognosi di affetto come non mai. Si tratta di una condizione che accomuna tutti – dai sapienti agli umili, dai potenti ai poveri – poiché siamo tutti ugualmente inermi di fronte a quanto accade.
Noi siamo fatti per vivere con gli altri e per gli altri. Questo periodo di isolamento costituisce un grande sacrificio per tutti noi e produce un potenziale pericolo di depressione e solitudine. È strano, proprio quando le nostre fragilità ci fanno sentire più forte che mai il desiderio di ritrovarci con gli altri, ecco che gli eventi ci impongono la lontananza da tutti e quindi anche dalle persone care, figli, genitori, amici … E il nostro smarrimento cresce, per il terrore che magari proprio quelle persone possano essere colpite da questo tremendo virus e dalle sofferenze che lo accompagnano.
Chi di noi non prova un profondo dolore in questo periodo guardando in televisione tutte quelle persone sofferenti in ospedale o quelle salme trasportate in fila sui camion militari? Ci sgomenta la sorte di tutti quei diseredati delle terra, che sono sempre le vittime predestinate nei momenti di crisi e anche oggi pagano il prezzo più alto. I profughi, senza tetto e senza terra, accatastati nelle condizioni più miserevoli, con adesso in più anche l’ombra cupa del contagio, ci interpellano senza che noi possiamo ipotizzare risposte, se non la nostra vergogna. E i nostri senza fissa dimora come potranno rispondere alla richiesta di rimanere a casa? Come si ripareranno?
La sofferenza che stiamo vivendo in questo periodo è enorme e inspiegabile, la sentiamo come un’ingiustizia irreparabile. Prepararci alla Pasqua sembra quasi una forzatura, un tentativo assurdo di costringere alla normalità un tempo che non è normale. Di fronte al dolore che vediamo e viviamo ogni giorno, abbiamo la tentazione di ribellarci. Non abbiamo voglia di credere che il dolore abbia un senso, perché ci pare di sminuirlo.
In fondo, il grido di Gesù sulla croce Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato? è lo stesso grido che lanciamo noi. Cosa possiamo immaginare di più ingiusto della sofferenza di Gesù nel Getsemani? Non siete stati capaci di vegliare un’ora sola. Il tono stanco, umile, rassegnato. Vi avevo chiesto solo di stare con me, perché sono solo e ho paura, e voi mi avete abbandonato. Cosa di peggiore delle sofferenze di Gesù sulla croce, che muore anche lui solo, in mezzo al disprezzo?
Eppure era il figlio amato. Anche noi siamo amati, ma l’amore non può risparmiarci il dolore. Forse questo ci aiuterà anche nelle nostre relazioni: quanti di noi, amando qualcuno che soffre, si sentono impotenti e inadeguati, perché non riescono a evitargli il dolore? Quanti addirittura si allontanano da chi soffre, perché questa contraddizione (io ti amo, ma tu soffri ancora) è insopportabile?
Non possiamo evitare il dolore, e fortunatamente non possiamo nemmeno rifiutare la gioia della Pasqua. Ci è dato di vivere questo tempo, e l’unica cosa che forse possiamo fare, è evitare di fare esperienza dell’abbandono che vive Gesù nell’orto del Getsemani. Cerchiamo di essere capaci di vegliare con chi ci sta accanto almeno un’ora, e se siamo noi a vegliare da soli, non abbiamo paura di svegliare il nostro prossimo perché vegli con noi.
Il nostro Dio nel suo immenso amore per noi ci è venuto incontro nei nostri limiti: non solo abbracciandoci teneramente commosso, come un padre, ogni volta che riconosciamo la nostra piccolezza, fragilità, ma anche, divenuto uomo per amore, ha vissuto la frustrazione e il dolore dell’incomprensione, la paura e l’angoscia di quanto lo aspettava, ha deposto la sua onniscienza e onnipotenza per essere uno di noi, uno come noi.
Per questo, in un tempo di paure e di sofferenze, mie e dei miei fratelli, lo posso sentire accanto, capace non solo di comprendere, ma anche di condividere queste paure e di sostenermi, ancora una volta, anche in questo pezzo di strada. Sarà la preghiera con cui mi affiderò totalmente a Cristo, con cui affiderò i miei cari e tutta l’umanità, a dirmi che non sarò abbandonato. Che il suo spirito di Risorto ci trascini con lui nel suo Regno, il Regno che è già qui ogni volta che amiamo, che ascoltiamo i bisogni degli altri, vicini e lontani, con cuore aperto e grande, ogni volta che difendiamo ciò che è giusto e vero non con la forza, ma con la fermezza e il sorriso, ogni volta che siamo strumenti di pace, anche nelle nostre case.
La fragilità ha anche lo straordinario potere di farci riscoprire fratelli, senza barriere né restrizioni: il cuore colma la distanza che è stata imposta ai nostri corpi e ci proietta vicino a chi soffre, a chi si è ritrovato senza mezzi per affrontare la quotidianità, a chi rischia la vita per senso del dovere o per il bene degli altri – come chi lavora nella sanità, ma anche chi svolge tutti quei lavori più umili che a volte non consideriamo: chi fa le pulizie, chi fa le consegne a domicilio tanto importanti in questo momento (e spesso sono persone che non hanno nessuna sicurezza contrattuale), chi lavora negli uffici e nei negozi rimasti aperti, sobbarcandosi i rischi del rapporto con il pubblico – a chi continua a educare i bambini e i giovani, a chi ha la responsabilità di prendere le decisioni per la nostra vita collettiva, cercando di ipotizzare strumenti per tutelare la salute e per garantire la sopravvivenza economica di chi è in difficoltà.
È stato messo in discussione il nostro modo di vivere la vita: frettoloso, sguardi fuggenti, timorosi dell’incontro con lo sconosciuto, con il diverso. Forse per la prima volta abbiamo la possibilità di guardare il mondo con occhi benevoli, riscoprendoci fratelli fra noi. Pezzi vivi di questa umanità. Forse in questo tempo potremmo pensare di aver ritrovato dei valori che avevamo dimenticato e questo tempo di Pasqua potrebbe essere un’occasione da non perdere. Sarebbe bello che in questa casa che ospita le nostre famiglie, piccoli, grandi, anziani potessero incontrarsi per le scale o nel quartiere guardandosi con occhio benevolo, non frettoloso, salutandosi, guardandosi nel volto e decidere poi oltre al sorriso di salutarsi con un “buongiorno” o qualcosa di più se il volto è familiare. Tra le persone care oggi più che mai ci salutiamo chiedendoci “come stai?” sarebbe bello poter rivolgere questa domanda anche alle persone che solitamente ignoriamo. Potrebbe essere una eredità di questo tempo che ci farebbe diventare diversi, migliori.
Invitiamo tutti a trasformare questa tragedia in nuova opportunità per rivedere i nostri valori, rafforzare la nostra fede, aprirci verso i fratelli.
Già ora riscopriamo il senso di piccoli doni senza prezzo:
Della GIOIA nel prenderci cura dei nostri cari senza stress. Della SOLIDARIETÀ che ci spinge a telefonare di tanto in tanto a tutte quelle persone che davamo per scontate solo per chiedere “come stai”. Della CARITÀ quando ci svegliamo la mattina e passiamo in rassegna coloro che sappiamo avere mille bisogni, proponendoci di risolvergliene almeno uno in quella giornata. Della PREGHIERA fatta prendendoci il tempo che abbiamo sempre desiderato ritagliarci nella frenesia delle giornate. Nei testi di questi giorni, nei Salmi specialmente, troviamo in maniera ricorrente il messaggio che Dio ci soccorre e non ci abbandona. In queste domeniche ed in questa Settimana Santa ci manca la partecipazione all’Eucaristia ed alle celebrazioni, conforta però sapere che siamo uniti nella preghiera anche se lontani, e sapere che c’è una Comunità cristiana di cui facciamo parte. Della SCOPERTA di una vita semplice che scorre in armonia con i ritmi di una natura che si rianima. Della SPERANZA perché dopo il tempo dell’emergenza l’uomo possa ripensare la propria vita cambiando rotta, rimettendo il bene e Dio al centro del proprio agire.
Con questa lettera abbiamo preso l’iniziativa. Ma non vorremmo che fosse una comunicazione a senso unico. Saremmo davvero lieti se volessi rispondere, inviando una mail all’indirizzo stiamouniti@sanfulgenzio.it, oppure lasciando un foglio scritto nel cesto posto all’entrata della chiesa di San Fulgenzio, oppure telefonando ai numeri 06 3545 4039 (parrocchia) o 331 108 2525 (Paolo).
In questo momento tutti ci sentiamo un po’ soli, abbandonati, orfani. Quando sarà possibile sarebbe un dono per tutti incontrarci, ascoltarci e dialogare su temi come il dolore, la gioia, l’amicizia, sulla base della comune esperienza umana anche con tutti coloro che non hanno una fede religiosa.
Buona Pasqua.
Paolo e l’Équipe Pastorale