Convocazione del Consiglio pastorale, allargata alla comunità,
sulle domande del questionario che prepara il sinodo dei vescovi
Prima parte 29 gennaio 2014
1.Dove l’insegnamento della Chiesa riguardante la famiglia (testi biblici, Gaudium et spes, Familiaris consortio e altri documenti del magistero postconciliare) è conosciuto, è accettato? Si verificano difficoltà nel metterlo in pratica? Quali?
Da molte ricerche risulta che ci sia una distanza grandissima e crescente tra l’insegnamento ufficiale della chiesa e le opinioni e i comportamenti dei fedeli, anche dei cattolici praticanti, su tutti i punti indicati: coppie di fatto, divorziati risposati, contraccezione.
La genesi dice: i due siano una carne sola. Non è semplice: è un cammino, che potremmo studiare.
Tanti cristiani sono lontani, perché sentono distanza tra quello che vivono e la gerarchia. Gaudium et Spes, Familiaris consortio … non sono conosciuti. I documenti sono scritti con un linguaggio poco immediato. Mentre è più facile il confronto con il testo biblico. Difficile trovare un testo biblico che non accetto. Posso avere difficoltà a viverlo. E’ stato significativo il confronto con la figura di Giuseppe, che rinuncia ai suoi sogni per un sogno più grande.
Mancanza di una comunità. Nella struttura gerarchica ho visto il potere: controllo, imposizione di regole, anche nella vita matrimoniale. C’è amicizia, ma manca un rapporto ecclesiale tra noi.
Si dà per scontato un modello di famiglia: due bravi ragazzi – un ragazzo e una ragazza – allo stesso livello di fede, celebrano il sacramento e camminano insieme. Un tandem con tutti e due che pedalano, di pari passo. La realtà spesso non è questa.
Una vita matrimoniale molto lunga non è più un esempio, è percepita come strana e non riconosciuta di primaria importanza.
Improponibile che la maggior parte dei fedeli abbia contatto diretto con i documenti, scritti con linguaggio teologico, è auspicabile che certi concetti passino attraverso la pastorale familiare.
Spesso mi sono stati raccontati i documenti del magistero in modo più direttivo di quanto non siano in realtà.
Io sono praticante, mio marito non lo è. Abbiamo vissuto con rispetto e affetto. Molta difficoltà nella trasmissione della fede ai figli. I miei figli hanno presto smesso di praticare.
I figli si ritengono fortunati ad aver vissuto in una famiglia solida, ma per loro è un miraggio, non realizzabile.
Tra i documenti non si cita la Humanae Vitae. Mi sembra grave che non ci si stata nessuna correzione ufficiale da parte della Chiesa. Da molto tempo si parla di uno scisma nascosto.
L’Humanae Vitae ha segnato un momento di rottura. Sia Giovanni XXIII che Paolo VI avevano messo in conto un’indagine per poter valutare i cambiamenti antropologici e sociologici sulla persona, la famiglia, la sessualità, il genere. Con la Humanae Vitae improvvisamente si accantona tutta questa ricerca. Ora le persone che hanno fatto esperienza del Concilio sono quelle oggi più diffidenti. Temono che non si abbia il coraggio di descrivere la realtà e di metterla a contatto con la tradizione, perché l’effetto sarebbe doverla smentire (non c’è solo la comunione ai divorziati, ma anche la legge naturale). Oggi si rinnova il tentativo di avvicinare la vita alla Chiesa e la Chiesa alla vita.
3.1 Secondo voi, la Chiesa mostra attenzione pastorale nei confronti della famiglia? Cosa si potrebbe e/o dovrebbe fare di più?
Due realtà di Chiesa. Da una parte la parrocchia, i sacerdoti più vicini alla realtà, che cercano di conoscerla e di aiutarla; dall’altra la gerarchia che continua a parlare di famiglia senza i piedi per terra. Alcune volte parla di famiglia per interesse.
La Chiesa gerarchica manca di credibilità riguardo alla famiglia: chi sta in alto e decide sono tutti maschi e anche di una certa età, senza esperienza di famiglia. Come essere credibili nel parlare di famiglia. Attenzione pastorale nei confronti delle famiglie significherebbe spogliarsi del giudizio, che non c’è nei documenti, ma si sente nei fatti. Quando si parla di scuola o di sanità il problema è mantenere certe posizioni di potere, come si fa a parlare di pastorale.
La Chiesa di Roma è molto attenta alla celebrazione dei sacramenti della Comunione e della Cresima. Ma non si ragiona in un’ottica di famiglia. Seguire le famiglie, nella quale i bambini possano crescere e fare i sacramenti secondo la loro maturazione. Non c’è attenzione all’accompagnamento delle famiglie. Sorgono invece esperienze spontanee di famiglie che si raggruppano e si sostengono.
Si è già parlato dello stereotipo di famiglia. Famiglia è anche una mamma sola con suo figlio; è anche un figlio che vive con un amico; è una nonna vedova; è un papà da solo. La pastorale è stare vicino alle persone. Rischiamo altrimenti di costruire una proposta solo per un tipo di famiglia.
3.2 Nell’attuale situazione di crisi tra le generazioni, come le famiglie cristiane vivono la trasmissione della fede (nonni e genitori verso figli e nipoti)?
Sono zia. Io non ho ricevuto dai miei genitori una educazione religiosa specifica. Sapevano a mala pena leggere. Mia madre ha scoperto il vangelo dopo il Concilio, con la liturgia in italiano. Ma c’è stata una trasmissione della fede. Mi ritrovo nipoti lontani. Con loro non ho usato parole. Ho pensato che contassero i fatti, il modo di comportarsi. In realtà mi ritrovo con nipoti cresciuti con me, lontani dalla frequentazione e dall’educazione religiosa dei figli. Mi chiedo: non la Chiesa, non i vertici, ma noi in cosa abbiamo mancato nella trasmissione della fede di ogni giorno?
Abbiamo tre figli, li abbiamo allevati con l’esempio, hanno fatto la Comunione e la Cresima e poi si sono allontanati. Nessuno di loro è praticante, forse qualcuno è non credente. Due hanno convissuto a lungo prima di sposarsi, uno convive dopo un divorzio e non ha battezzato i figli. Gli altri due nipoti sono stati battezzati. Abbiamo mancato in qualche cosa? Non siamo stati capaci di trasmettere la nostra fede. Oppure il Signore troverà altri modi per avvicinarli a sé.
Anche io ho toppato. Avevo una fede infantile devozionale e ho troppo a lungo frequentato scuole confessionali. Poi nel corso della vita sono riuscita a capire che il modo in cui vivevo la mia fede era astratto, di cervello, non reale, non concreto. Ho cercato di trasmettere la fede alle mie due figlie. Hanno fatto entrambe la Comunione. Una sola ha voluto fare la Cresima. Hanno convissuto prima di sposarsi civilmente e non hanno battezzato i loro figli. Ho cercato di dare un esempio di coerenza. Il mio sforzo è stato quello di non far chiudere il rapporto delle mie figlie con il padre. L’affrontare una situazione difficile senza risentimento, senza diventare giudicante, è servito alla loro maturità. Sono credenti, sono persone serie, ma non hanno desiderio di andare oltre.
Non sempre il vissuto familiare è positivo. Il catechismo può essere un’esperienza di iniziale autonomia, di liberazione, rispetto ad una oppressione vissuta in famiglia.
Per me e per uno dei miei figli l’esperienza di catechesi è stata negativa.
Nelle generazioni precedenti alla nostra la trasmissione della fede avveniva fisiologicamente. Come laicato cristiano abbiamo le nostre responsabilità, specialmente dopo il Concilio.
Due figli che non frequentano. Vivo abbastanza tranquillamente questa situazione. Vorremmo che loro facessero la strada che è stata buona per noi. Occupiamoci piuttosto della loro realizzazione umana e che abbiano un rapporto vivificante con Signore, più o meno consapevolmente. Hanno i loro tempi. Poi c’è il desiderio di distinguersi dai genitori. C’è la possibilità di fare esperienze significative per la fede anche fuori della famiglia. Ai figli passi quello che sei. Mostriamo qualcosa di più significativo, non solo una chiarezza intellettuale o la correttezza nella vita. La chiesa vicino a noi può offrire quello che noi non siamo riusciti a dare.
Non siamo solo noi gli artefici della trasmissione della fede ai figli. La responsabilità non è solo dei genitori. L’esperienza complessiva della vita porta all’incontro con Dio, in tempi non così prevedibili. Aspettare la maturazione delle persone.